sábado, 29 de septiembre de 2012

Un agente francese dietro la morte di Gheddafi


Il merito della cattura del rais sarebbe stato dei servizi di Parigi. Il Colonnello «venduto» all'Occidente da Assad

Dal nostro inviato  LORENZO CREMONESI
Gheddafi cadavere poco dopo la sua uccisione (Ansa)Gheddafi cadavere poco dopo la sua uccisione (Ansa)
TRIPOLI - Sarebbe stato un «agente straniero», e non le brigate rivoluzionarie libiche, a sparare il colpo di pistola alla testa che avrebbe ucciso Moammar Gheddafi il 20 ottobre dell’anno scorso alla periferia di Sirte. Non è la prima volta che in Libia viene messa in dubbio la versione ufficiale e più diffusa sulla fine del Colonnello. Ma ora è lo stesso Mahmoud Jibril, ex premier del governo transitorio e al momento in lizza per la guida del Paese dopo le elezioni parlamentari del 7 luglio, a rilanciare la versione del complotto ordito da un servizio segreto estero. «Fu un agente straniero mischiato alle brigate rivoluzionarie a uccidere Gheddafi», ha dichiarato due giorni fa durante un’intervista con l’emittente egiziana «Sogno Tv» al Cairo, dove si trova per partecipare ad un dibattito sulle Primavere arabe.
PISTA FRANCESE - Tra gli ambienti diplomatici occidentali nella capitale libica il commento ufficioso più diffuso è che, se davvero ci fu la mano di un sicario al servizio degli 007 stranieri, questa «quasi certamente era francese». Il ragionamento è noto. Fin dall’inizio del sostegno Nato alla rivoluzione, fortemente voluto dal governo di Nicolas Sarkozy, Gheddafi minacciò apertamente di rivelare i dettagli dei suoi rapporti con l’ex presidente francese, compresi i milioni di dollari versati per finanziare la sua candidatura e la campagna alle elezioni del 2007. «Sarkozy aveva tutti i motivi per cercare di far tacere il Colonnello e il più rapidamente possibile», ci hanno ripetuto ieri fonti diplomatiche europee a Tripoli.
Gli ultimi istanti di Gheddafi
RIVELAZIONI - Questa tesi è rafforzata dalle rivelazioni raccolte dal «Corriere» tre giorni fa a Bengasi. Qui Rami El Obeidi, ex responsabile per i rapporti con le agenzie di informazioni straniere per conto del Consiglio Nazionale Transitorio (l’ex organismo di autogoverno dei rivoluzionari libici) sino alle metà del 2011, ci ha raccontato le sue conoscenze sulle modalità che permisero alla Nato di individuare il luogo dove si era nascosto il Colonnello dopo la liberazione di Tripoli per mano dei rivoluzionari tra il 20 e 23 agosto 2011. «Allora si riteneva che Gheddafi fosse fuggito nel deserto e verso il confine meridionale della Libia assieme ad un manipolo di seguaci con l’intenzione di riorganizzare la resistenza», spiega El Obeidi. La notizia era ripetuta di continuo dagli stessi rivoluzionari, che avevano intensificato gli attacchi sulla regione a sud di Bani Walid e verso le oasi meridionali. In realtà Gheddafi aveva trovato rifugio nella città lealista di Sirte. Aggiunge El Obeidi: «Qui il rais cercò di comunicare tramite il suo satellitare Iridium con una serie di fedelissimi fuggiti in Siria sotto la protezione di Bashar Assad. Tra loro c’era anche il suo delfino per la propaganda televisiva, Yusuf Shakir (oggi sarebbe sano e salvo in incognito a Praga). E fu proprio il presidente siriano a passare il numero del satellitare di Gheddafi agli 007 francesi. In cambio Assad avrebbe ottenuto da Parigi la promessa di limitare le pressioni internazionali sulla Siria per cessare la repressione contro la popolazione in rivolta». Localizzare l’Iridium del dittatore con i gps sarebbe poi stato un gioco da ragazzi per gli esperti della Nato. Se fosse confermato, fu quello il primo passo che portò alla tragica fine di Gheddafi poche settimane dopo.

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